
COMPLIANCE EX 231/2001: INDICAZIONI OPERATIVE PER IL DATORE DI LAVORO DOPO I PROVVEDIMENTI SUL CORONAVIRUS NELLA REGIONE VENETO E IN TUTTA ITALIA
L’emergenza epidemiologica legata alla diffusione del Coronavirus in Veneto e in Italia impatta inevitabilmente sulla vita delle persone e delle imprese. I provvedimenti emanati dal Governo e dalle diverse Autorità locali, al fine di contenere la diffusione del virus, comportano la necessità di comprendere, in breve tempo, come dover/poter operare in concreto. In questo contesto in continuo divenire, il compito dell’imprenditore risulta essere, quindi, particolarmente complesso e delicato in quanto si articola su più fronti, dalla gestione del personale alla riorganizzazione e riprogrammazione dell’attività, tenendo sempre presente l’obiettivo primario di garantire la tutela della salute dei dipendenti.
In termini generali, occorre infatti tener presente quanto previsto dall’art. 2087 c.c. in base al quale «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure di contenimento che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro». Tale previsione, avente carattere generale, trova poi specifica declinazione in specifiche previsioni e primariamente nel D.Lgs. 81/2008, Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. In estrema sintesi, l’imprenditore/datore di lavoro deve adottare tutte le misure idonee a prevenire rischi per la salute dei lavoratori.
Come noto, in base a quanto previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (il “Decreto”), efficace dall’8 marzo 2020 al 3 aprile 2020, è stata individuata un’area (Regione Lombardia e altre 14 Province, area poi estesa all’intero territorio italiano in base al decreto del 9 marzo 2020) all’interno della quale sono in vigore previsioni restrittive che, tese ad arginare il diffondersi del virus, perseguono l’obiettivo di tutelare la salute della collettività.
Nell’ottica del datore di lavoro, risulta particolarmente rilevante la previsione di cui all’art. 1, lett. a) del Decreto in base alla quale è imposto di evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative.
Con successiva ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, datata 8 marzo 2020, a firma del capo del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, è stato chiarito che “quanto previsto dal medesimo articolo 1, comma 1, lettera a) non vieta alle persone fisiche gli spostamenti su tutto il territorio nazionale per motivi di lavoro, di necessità o per motivi di salute, nonché lo svolgimento delle conseguenti attività”.
TRASPORTO MERCI E CORONAVIRUS
Con specifico riferimento alle merci, in attesa di specifiche linee guida sulla movimentazione delle merci, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha precisato che “nessuna limitazione o restrizione al transito delle merci e di tutta la filiera produttiva da e per i territori indicati dall’art. 1 del DPCM 8 marzo 2020” e quindi “le merci possono entrare ed uscire dai territori interessati. L’attività degli operatori addetti al trasporto è un’esigenza lavorativa: il personale che conduce i mezzi di trasporto può quindi entrare e uscire dai territori interessati e spostarsi all’interno degli stessi, limitatamente alle esigenze di consegna o prelievo delle merci”.
LAVORO AGILE E CORONAVIRUS
Fermo restando che il datore di lavoro deve promuovere la fruizione, da parte del dipendente, dei periodi di congedo ordinario e di ferie, nell’impossibilità di ricorrere a modalità di lavoro agile, lo stesso dovrà garantire, rispetto ai dipendenti la cui presenza sul luogo di lavoro è ritenuta necessaria, il rispetto delle cautele e precauzioni tese a garantire la salute degli stessi, sia nel luogo di lavoro che nel tragitto casa-lavoro. Si evidenzia, a tal proposito, a titolo meramente esemplificativo, la necessità di garantire il rispetto della misura igienico-sanitari, indicata – tra altre misure – nell’Allegato 1 al Decreto, del mantenimento di una distanza interpersonale di almeno un metro.
LA SALUTE DEI LAVORATORI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS
Sul punto si richiama l’attenzione sull’accordo sottoscritto il 14.03.2020 tra Confindustria e Sindacati volto a regolamentare e rendere uniformi le misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro in Veneto e in tutta Italia.
Un protocollo condiviso che indica linee guida operative per le aziende, per attuare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale le prescrizioni del legislatore e dell’Autorità sanitaria. Il Protocollo (https://www.confindustria.it) si compone di 13 punti in cui vengono indicate le misure precauzionali da adottare per evitare contagi, regolando (a titolo esemplificativo) le modalità di ingresso in azienda; le modalità di accesso dei fornitori esterni; la pulizia e sanificazione in azienda; le precauzioni igieniche personali; la gestione degli spazi comuni (mensa, spogliatoi, aree fumatori, distributori di bevande e snack); l’organizzazione aziendale (turnazione, trasferte e smart work); la gestione degli orari di lavoro; la rimodulazione dei livelli produttivi; la gestione dell’entrata e dell’uscita dei dipendenti; gli spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione.
Per quanto sopra, quindi, il datore di lavoro risponderà delle valutazioni fatte e delle decisioni legate alle prestazioni svolte in azienda da parte del lavoratore, incorrendo, in caso di riscontrate criticità e qualora ne sussistano tutti i presupposti, in possibili responsabilità sul piano civilistico e penale.
Con particolare riferimento al piano penale, il datore di lavoro potrebbe, ad esempio, essere chiamato a rispondere nel caso in cui le “comprovate ragioni lavorative” si rivelassero non sussistenti o non fossero adottate le idonee misure di cautela e protezione; e ciò ai sensi dell’art. 650 c.p., secondo cui “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o d’igiene, con la pena dell’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato”.
Inoltre, in caso di danno alla salute del lavoratore, il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere, a titolo di colpa, del reato di lesioni/omicidio commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Trattandosi di reati presupposto della responsabilità amministrativa, ex D.Lgs. 231/2001, si evidenzia il potenziale rischio di una contestazione a carico dell’ente e quindi l’esigenza che le aziende e le attività produttive si dotino di procedure interne volte a garantire la più idonea osservanza delle cautele poste a tutela della salute dei dipendenti.
Tali nuove procedure adottate dovranno pertanto essere considerate e trasfuse dal datore di lavoro sia nell’ambito del Documento di valutazione rischi, come previsto dall’articolo 28 del Dlgs 81/2008, in stretta collaborazione con il medico competente; sia nell’ambito dei modelli organizzativi ex Dlgs 231/2001, al fine di dare atto di aver adeguato la propria operatività alle attuali disposizioni di legge, posto che i reati di lesioni gravi o gravissime e omicidio colposo commesso con violazione della normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro costituiscono reato presupposto per l’applicazione delle sanzioni amministrative in chiave 231.