
I noti e recenti eventi di diffusione del Coronavirus Covid-19 verificatisi sul territorio nazionale rischiano di coinvolgere le aziende e gli altri operatori economici nell’ambito dei propri rapporti commerciali, che interessano le relazioni con fornitori, clienti, professionisti, dipendenti o altri players del mercato.
Tale coinvolgimento potrebbe talvolta compromettere la conclusione o l’esecuzione di rapporti contrattuali, aumentando il rischio che si profilino ipotesi di inadempimento da parte di quelle imprese che, in buona fede, abbiano assunto impegni che, a causa degli effetti della diffusione del virus, non siano più in grado di adempiere o non siano più economicamente convenienti.
L’epidemia, come tristemente noto tramite l’ampia diffusione giornalistica degli eventi, sta influendo moltissimo non solo sull’apporto della forza lavoro – assenze giustificate, quarantene dei dipendenti nelle c.d. zone rosse – ma anche a livello di traffici di merci – embarghi o chiusure doganali – oltre che sulle abitudini dei cittadini il quali sono invitati il più possibile a non uscire di casa, evitando di frequentare alberghi, ristoranti o luoghi di villeggiatura.
E’ evidente come tali circostanze, riconducibili alla più ampia categoria della forza maggiore, possano seriamente interferire con l’adempimento dei rapporti contrattuali.
La legge italiana, pur non definendo espressamente questo concetto di forza maggiore, consente comunque di inquadrare le descritte problematiche di adempimento derivanti dalla diffusione del virus, a seconda che a causa di esse la prestazione diventi più difficoltosa o diventi impossibile.
Difficoltoso adempimento della prestazione
Nel primo caso in cui l’epidemia renda l’adempimento della prestazione più difficoltoso ci si si può richiamare, innanzitutto, al generale dovere di buona fede che le parti devono rispettare nell’esecuzione del contratto (art. 1218 c.c.).
Tale norma prevede che l’eventuale sopraggiunta difficoltà di eseguire una prestazione non libera automaticamente l’obbligato, ma costituisce solo un ostacolo che il debitore deve impegnarsi a superare con la dovuta diligenza. Solo qualora l’ostacolo non sia superabile con l’ordinaria diligenza il debitore è liberato.
Innanzitutto occorre che l’inadempimento o la difficoltà di adempiere sia derivato da causa non imputabile al debitore: non basta che si sia verificato un qualsiasi fattore estraneo che lo abbia posto nell’impossibilità di adempiere in modo esatto e tempestivo, ma deve verificarsi un fattore non riconducibile a difetto di diligenza o che sia tale che alle relative conseguenze il debitore non possa porvi riparo con uguale diligenza.
E’ evidente che l’epidemia derivante dalla diffusione del Coronavirus possa rientrare tra quei fattori esterni che rendano difficile l’esecuzione della prestazione dato che derivano da causa non imputabile al debitore; il debitore, tuttavia, qualora sia chiamato a rispondere giudizialmente del proprio inadempimento, deve dimostrare di aver diligentemente adottato tutte le misure possibili per evitare che il virus comprometta ulteriormente l’adempimento della prestazione.
In altri casi, qualora la difficoltà di adempiere la prestazione la renda economicamente più onerosa e quindi sconveniente, ci si può richiamare alla norma di cui all’art. 1467 c.c. che regola l’eccessiva onerosità sopravvenuta nei contratti.
Per poter invocare tale norma è necessario dimostrare i seguenti requisiti:
- un intervenuto squilibrio tra le prestazioni non previsto al momento della conclusione del contratto
- la riconducibilità della eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari e imprevedibili che non rientrano nell’alea contrattuale: la straordinarietà si accerta in base alla frequenza dell’evento, alle dimensioni e all’intensità, l’imprevedibilità ha natura soggettiva in quanto si riferisce alla sfera delle conoscenze del debitore.
E’ altrettanto evidente che la diffusione del Coronavirus possa rientrare tra quegli eventi straordinari previsti dalla norma, poiché eccezionali e dall’impatto molto elevato e non certo prevedibili nemmeno da parte della comunità scientifica; occorre dimostrare, poi, che le difficoltà di adempimento della prestazione, a causa dell’aumento dei costi di produzione (si pensi al caso in cui sia necessario mutare il proprio fornitore nel caso in cui ciò comporti un aumento dei prezzi di acquisto) abbiano determinato uno squilibrio che renda eccessivamente gravoso l’adempimento.
Impossibile adempimento della prestazione
Nel caso in cui, poi, la prestazione diventi impossibile, ci si può richiamare alla norma di cui all’art. 1256 c.c. che regola l’ipotesi dell’impossibilità definitiva o temporanea di adempimento della prestazione.
La liberazione del debitore per impossibilità sopravvenuta della prestazione può verificarsi solo se concorrano:
- l’elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima
- quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione
Tra le cause invocabili ai fini dell’impossibilità della prestazione rientrano sicuramente gli ordini o i divieti sopravvenuti dell’autorità amministrativa: provvedimenti legislativi o amministrativi dettati da interessi generali che rendano impossibile la prestazione indipendentemente dal comportamento dell’obbligato.
L’impossibilità nell’adempimento contrattuale, tuttavia, non può essere invocata qualora gli ordini o i divieti provenienti dall’autorità amministrativa siano prevedibili al momento dell’assunzione dell’obbligazione o rispetto ai quali non si siano sperimentate tutte le possibilità per vincere o rimuovere tale ostacolo.
Nell’ipotesi dell’impossibilità temporanea l’art. 1256 c.c. si limita a escludere la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento finché perdura l’impossibilità; pertanto il debitore, cessata detta impossibilità, deve sempre eseguire la prestazione.
A proposito di Coronavirus, quindi, eventuali provvedimenti emessi da parte dell’autorità amministrativa (Consiglio dei Ministri, Ministeri ecc.) che limitino, ad esempio, la circolazione di merci, rientrano certamente tra le cause invocabili ai fini dell’impossibilità della prestazione in relazione a cui non può essere attribuita alcuna colpa al debitore.
E’ evidente, in definitiva, come il diffondersi di un’epidemia virale sconosciuta, la cui verificazione e i cui effetti non sono prevedibili, possa astrattamente rientrare tra quei fattori in grado di giustificare la difficoltà di esecuzione o la mancata esecuzione di una prestazione contrattuale per causa di forza maggiore.
Tuttavia, considerato che ciascun soggetto è chiamato, in forza del principio solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione, a regole di autodisciplina che impongono assunzioni di responsabilità sociale e economica, occorre verificare caso per caso l’effettiva applicabilità di tale principio alla situazione concreta.
Se il ciclo produttivo di un’azienda non ha potuto proseguire a causa dell’assenza forzosa dei dipendenti, magari perché residenti in zone particolarmente sensibili, è evidente che in tal caso l’azienda stessa possa invocare l’impossibilità di adempiere alla prestazione in relazione a ritardi o mancate consegne ai clienti.
Così come nel caso in cui, ad esempio, la momentanea compromissione di un settore economico – si veda il settore terziario in ambito alberghiero o di ristorazione – derivante dal mutamento delle abitudini dei cittadini, tale da renderlo non più economicamente appetibile, può giustificare l’inadempimento di contratti preliminari di fusione o acquisizione di aziende impegnate in quei settori.
Diverso caso riguarda l’azienda che nel proprio ciclo commerciale si approvvigiona da fornitori la cui attività viene compromessa da eventi legati alla diffusione del virus o aventi sede in territori esteri da cui non si può più importare: in tal caso non è automatica l’invocazione della disciplina del fatto a sé non imputabile, come sopra vista, al fine di giustificare l’eventuale ritardo di consegna nei confronti del cliente finale. La regola di diligenza contrattuale, infatti, imporrebbe di mutare il proprio fornitore scegliendo di approvvigionarsi, nei limiti del possibile, presso altro fornitore non compromesso dalla diffusione del contagio, sempre che tale circostanza non renda la prestazione economicamente non più conveniente.
Considerato che le norme citate richiedono tutte l’imprevedibilità dell’inadempimento contrattuale, è ampiamente sconsigliabile ora, ad epidemia già nota, assumere obbligazioni contrattuali che si abbia il dubbio di non poter adempiere correttamente: la forza maggiore, infatti, non sarebbe invocabile.
E’ inoltre consigliabile indicare nei contratti tra gli eventi costituenti causa di forza maggiore che escludono l’inadempimento l’evento specifico della epidemia/pandemia, così da condividere pattiziamente l’ipotesi in cui si verifichi tale evento scongiurando qualsiasi profilo di mala fede contrattuale.
Si consiglia, infine, che la parte che intenda invocare la causa di forza maggiore per giustificare il proprio inadempimento debba notificare alla controparte tale volontà dichiarando di avvalersi di tale clausola, impegnandosi poi a informare la controparte sullo sviluppo della situazione.
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I noti e recenti eventi di diffusione del Coronavirus Covid-19 verificatisi sul territorio nazionale rischiano di coinvolgere le aziende e gli altri operatori economici nell’ambito dei propri rapporti commerciali, che interessano le relazioni con fornitori, clienti, professionisti, dipendenti o altri players del mercato.
Tale coinvolgimento potrebbe talvolta compromettere la conclusione o l’esecuzione di rapporti contrattuali, aumentando il rischio che si profilino ipotesi di inadempimento da parte di quelle imprese che, in buona fede, abbiano assunto impegni che, a causa degli effetti della diffusione del virus, non siano più in grado di adempiere o non siano più economicamente convenienti.
L’epidemia, come tristemente noto tramite l’ampia diffusione giornalistica degli eventi, sta influendo moltissimo non solo sull’apporto della forza lavoro – assenze giustificate, quarantene dei dipendenti nelle c.d. zone rosse – ma anche a livello di traffici di merci – embarghi o chiusure doganali – oltre che sulle abitudini dei cittadini il quali sono invitati il più possibile a non uscire di casa, evitando di frequentare alberghi, ristoranti o luoghi di villeggiatura.
E’ evidente come tali circostanze, riconducibili alla più ampia categoria della forza maggiore, possano seriamente interferire con l’adempimento dei rapporti contrattuali.
La legge italiana, pur non definendo espressamente questo concetto di forza maggiore, consente comunque di inquadrare le descritte problematiche di adempimento derivanti dalla diffusione del virus, a seconda che a causa di esse la prestazione diventi più difficoltosa o diventi impossibile.
Difficoltoso adempimento della prestazione
Nel primo caso in cui l’epidemia renda l’adempimento della prestazione più difficoltoso ci si si può richiamare, innanzitutto, al generale dovere di buona fede che le parti devono rispettare nell’esecuzione del contratto (art. 1218 c.c.).
Tale norma prevede che l’eventuale sopraggiunta difficoltà di eseguire una prestazione non libera automaticamente l’obbligato, ma costituisce solo un ostacolo che il debitore deve impegnarsi a superare con la dovuta diligenza. Solo qualora l’ostacolo non sia superabile con l’ordinaria diligenza il debitore è liberato.
Innanzitutto occorre che l’inadempimento o la difficoltà di adempiere sia derivato da causa non imputabile al debitore: non basta che si sia verificato un qualsiasi fattore estraneo che lo abbia posto nell’impossibilità di adempiere in modo esatto e tempestivo, ma deve verificarsi un fattore non riconducibile a difetto di diligenza o che sia tale che alle relative conseguenze il debitore non possa porvi riparo con uguale diligenza.
E’ evidente che l’epidemia derivante dalla diffusione del Coronavirus possa rientrare tra quei fattori esterni che rendano difficile l’esecuzione della prestazione dato che derivano da causa non imputabile al debitore; il debitore, tuttavia, qualora sia chiamato a rispondere giudizialmente del proprio inadempimento, deve dimostrare di aver diligentemente adottato tutte le misure possibili per evitare che il virus comprometta ulteriormente l’adempimento della prestazione.
In altri casi, qualora la difficoltà di adempiere la prestazione la renda economicamente più onerosa e quindi sconveniente, ci si può richiamare alla norma di cui all’art. 1467 c.c. che regola l’eccessiva onerosità sopravvenuta nei contratti.
Per poter invocare tale norma è necessario dimostrare i seguenti requisiti:
- un intervenuto squilibrio tra le prestazioni non previsto al momento della conclusione del contratto
- la riconducibilità della eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari e imprevedibili che non rientrano nell’alea contrattuale: la straordinarietà si accerta in base alla frequenza dell’evento, alle dimensioni e all’intensità, l’imprevedibilità ha natura soggettiva in quanto si riferisce alla sfera delle conoscenze del debitore.
E’ altrettanto evidente che la diffusione del Coronavirus possa rientrare tra quegli eventi straordinari previsti dalla norma, poiché eccezionali e dall’impatto molto elevato e non certo prevedibili nemmeno da parte della comunità scientifica; occorre dimostrare, poi, che le difficoltà di adempimento della prestazione, a causa dell’aumento dei costi di produzione (si pensi al caso in cui sia necessario mutare il proprio fornitore nel caso in cui ciò comporti un aumento dei prezzi di acquisto) abbiano determinato uno squilibrio che renda eccessivamente gravoso l’adempimento.
Impossibile adempimento della prestazione
Nel caso in cui, poi, la prestazione diventi impossibile, ci si può richiamare alla norma di cui all’art. 1256 c.c. che regola l’ipotesi dell’impossibilità definitiva o temporanea di adempimento della prestazione.
La liberazione del debitore per impossibilità sopravvenuta della prestazione può verificarsi solo se concorrano:
- l’elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima
- quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione
Tra le cause invocabili ai fini dell’impossibilità della prestazione rientrano sicuramente gli ordini o i divieti sopravvenuti dell’autorità amministrativa: provvedimenti legislativi o amministrativi dettati da interessi generali che rendano impossibile la prestazione indipendentemente dal comportamento dell’obbligato.
L’impossibilità nell’adempimento contrattuale, tuttavia, non può essere invocata qualora gli ordini o i divieti provenienti dall’autorità amministrativa siano prevedibili al momento dell’assunzione dell’obbligazione o rispetto ai quali non si siano sperimentate tutte le possibilità per vincere o rimuovere tale ostacolo.
Nell’ipotesi dell’impossibilità temporanea l’art. 1256 c.c. si limita a escludere la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento finché perdura l’impossibilità; pertanto il debitore, cessata detta impossibilità, deve sempre eseguire la prestazione.
A proposito di Coronavirus, quindi, eventuali provvedimenti emessi da parte dell’autorità amministrativa (Consiglio dei Ministri, Ministeri ecc.) che limitino, ad esempio, la circolazione di merci, rientrano certamente tra le cause invocabili ai fini dell’impossibilità della prestazione in relazione a cui non può essere attribuita alcuna colpa al debitore.
E’ evidente, in definitiva, come il diffondersi di un’epidemia virale sconosciuta, la cui verificazione e i cui effetti non sono prevedibili, possa astrattamente rientrare tra quei fattori in grado di giustificare la difficoltà di esecuzione o la mancata esecuzione di una prestazione contrattuale per causa di forza maggiore.
Tuttavia, considerato che ciascun soggetto è chiamato, in forza del principio solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione, a regole di autodisciplina che impongono assunzioni di responsabilità sociale e economica, occorre verificare caso per caso l’effettiva applicabilità di tale principio alla situazione concreta.
Se il ciclo produttivo di un’azienda non ha potuto proseguire a causa dell’assenza forzosa dei dipendenti, magari perché residenti in zone particolarmente sensibili, è evidente che in tal caso l’azienda stessa possa invocare l’impossibilità di adempiere alla prestazione in relazione a ritardi o mancate consegne ai clienti.
Così come nel caso in cui, ad esempio, la momentanea compromissione di un settore economico – si veda il settore terziario in ambito alberghiero o di ristorazione – derivante dal mutamento delle abitudini dei cittadini, tale da renderlo non più economicamente appetibile, può giustificare l’inadempimento di contratti preliminari di fusione o acquisizione di aziende impegnate in quei settori.
Diverso caso riguarda l’azienda che nel proprio ciclo commerciale si approvvigiona da fornitori la cui attività viene compromessa da eventi legati alla diffusione del virus o aventi sede in territori esteri da cui non si può più importare: in tal caso non è automatica l’invocazione della disciplina del fatto a sé non imputabile, come sopra vista, al fine di giustificare l’eventuale ritardo di consegna nei confronti del cliente finale. La regola di diligenza contrattuale, infatti, imporrebbe di mutare il proprio fornitore scegliendo di approvvigionarsi, nei limiti del possibile, presso altro fornitore non compromesso dalla diffusione del contagio, sempre che tale circostanza non renda la prestazione economicamente non più conveniente.
Considerato che le norme citate richiedono tutte l’imprevedibilità dell’inadempimento contrattuale, è ampiamente sconsigliabile ora, ad epidemia già nota, assumere obbligazioni contrattuali che si abbia il dubbio di non poter adempiere correttamente: la forza maggiore, infatti, non sarebbe invocabile.
E’ inoltre consigliabile indicare nei contratti tra gli eventi costituenti causa di forza maggiore che escludono l’inadempimento l’evento specifico della epidemia/pandemia, così da condividere pattiziamente l’ipotesi in cui si verifichi tale evento scongiurando qualsiasi profilo di mala fede contrattuale.
Si consiglia, infine, che la parte che intenda invocare la causa di forza maggiore per giustificare il proprio inadempimento debba notificare alla controparte tale volontà dichiarando di avvalersi di tale clausola, impegnandosi poi a informare la controparte sullo sviluppo della situazione.